lunedì 3 marzo 2014

Basta Euro. Come uscire dall'incubo, 31 domande 31 risposte. La verità che nessuno ti dice (quinta parte)


17. Perché l’Euro danneggia in particolare l’Italia e soprattutto il Nord?

L’industria settentrionale ha sempre avuto un grande vantaggio dalla Lira perché si trattava di una moneta sottovalutata rispetto alla forza economica e industriale del Nord Italia.
In pratica la Padania con la Lira era nella stessa posizione di vantaggio che la Germania ha adesso con l’Euro. Per semplicità diciamo che la forza economica del Nord era “dieci” mentre quella del Sud era “due”.
Una stessa moneta che valeva per queste due regioni così diverse era una media tra i valori che avrebbero avuto una moneta del Nord (10) e una moneta del Sud (2). La lira valeva quindi “sei”. Questo valore era troppo alto per il Sud che quindi si deindustrializzava, mentre era molto basso per il Nord che quindi poteva esportare molto facilmente i propri prodotti. Le industrie del Nord grazie
alla Lira si presentavano sui mercati internazionali con un “listino prezzi” scontato, i prodotti venivano acquistati da tutti e la disoccupazione non esisteva. Il “costo” di questo vantaggio per il Nord era il dover compensare il Sud (che non poteva competere) con forti trasferimenti fiscali.
Con l’Euro questo vantaggio è sparito, le imprese chiudono o spostano la produzione in Paesi più convenienti, ma le tasse e i trasferimenti fiscali sono rimasti perché se per il Sud la Lira era troppo cara figuriamoci l’Euro.
La Germania in questo momento è come era il Nord Italia con la Lira con la differenza di non trasferire nulla all’Italia che si sta “meridionalizzando”.
Per questo motivo, una volta riconquistata la nostra sovranità monetaria, se si volesse affrontare davvero il problema delle differenze tra Nord e Sud bisognerebbe magari pensare a due monete diverse. Il Sud diventerebbe competitivo e potrebbe creare lavoro vero, non falsi lavori pubblici.
Il Nord avrebbe più difficoltà ad esportare rispetto a quando c’era la Lira ma non ci sarebbe più bisogno di trasferimenti e le tasse potrebbero calare fortemente.

18. Queste cose “quelli che comandano” non le sanno?

Probabilmente ormai le sanno ma non vogliono ammettere di aver fatto un errore così grave e sperano che in qualche modo le cose si aggiustino. Nel frattempo, dato che la moneta non si può svalutare, si sta provando a svalutare il lavoro con l’arma della disoccupazione.
Se io voglio far scendere il “listino prezzi” dei miei prodotti perché la moneta troppo forte li pone fuori mercato, proverò a pagare di meno i miei dipendenti.
Capite quindi perché, sempre più spesso, si legge di fabbriche che minacciano la chiusura a meno che i lavoratori non accettino un taglio dello stipendio. Niente altro che il vecchio “o mangi questa minestra o salti dalla finestra”. Questo sistema però si traduce in una perdita fortissima del potere
di acquisto per chi lo subisce: una svalutazione fa perdere potere di acquisto (e non sempre) solo nei confronti dei beni di importazione, il taglio dello stipendio lo fa perdere nei confronti di ogni spesa, anche quelle che non c’entrano nulla con l’importazione, come il parrucchiere, i vestiti, la pizza e la bolletta del telefono.
Non solo, se ho dei debiti (ad esempio, un mutuo), con il cambio di moneta e la svalutazione non mi accadrà nulla di male, mentre se subisco il taglio dello stipendio la rata rimarrà la stessa diventando in proporzione più pesante rispetto ai miei guadagni. Infine va considerato che se anche sono un lavoratore autonomo, se tutti i lavoratori dipendenti si impoveriscono perché i loro stipendi vengono tagliati, anche i miei guadagni si ridurranno perché avrò meno clienti per i miei prodotti o i miei servizi.
È quello che sta accadendo ora. “Quelli che comandano” (la famosa Troika: Commissione Europea,
Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale – nessuno di essi eletto dai cittadini) stanno quindi imponendo una ricetta dolorosissima e piena di controindicazioni gravissime.
Ovviamente poi ci sono fortissimi interessi in gioco. Si pensi per esempio a chi ha puntato sulla
delocalizzazione o alle imprese che si sono specializzate nell’importazione di prodotti fabbricati all’estero realizzando finora grandi profitti.

Questi soggetti si opporranno fortemente al recupero della competitività domestica dell’Italia e soprattutto del sistema industriale del Nord, è comprensibile, ma accontentare le loro pretese sarebbe come voler rimanere ammalati per compiacere il farmacista che così può guadagnare di più.

19. Se calassero anche i prezzi insieme agli stipendi non sarebbe una soluzione?

I prezzi non si adeguano mai velocemente verso il basso e, come si diceva, i debiti rimangono
grandi come prima e quindi in proporzione più pesanti
(il creditore è in teoria avvantaggiato, ma
se il debitore fallisce non è una buona notizia per chi gli ha prestato denaro). Non solo: se si va stabilmente in deflazione, cioè in un periodo in cui i prezzi delle cose scendono, i consumatori cercheranno di ridurre il più possibile le spese attendendo i cali dei prezzi, ma così facendo i consumi calano ancora di più, aumentando la recessione.

20. Il problema è che adesso c’è la Cina. Non possiamo competere con chi paga i lavoratori un Euro
all’ora/mese/anno. È vero?


A parte che la Cina c’è sempre stata e che da sempre abbiamo convissuto con oggetti a basso prezzo made in Hong Kong o simili, tuttavia numeri alla mano il nostro concorrente è la Germania, non la Cina.
L’ultimo rapporto pre-crisi dell’Istituto per il Commercio Estero indicava chiaramente come in tutti e cinque i principali settori del nostro export
(apparecchi meccanici 77 miliardi, metalli e prodotti in metallo 44, mezzi di trasporto 41, prodotti chimici e fibre sintetiche 34, apparecchiature elettroniche e ottiche 31) il diretto concorrente della nostra industria fosse Berlino, non Pechino.
Conoscete qualcuno che nel commercio si metta ad eseguire quello che il suo concorrente gli dice di fare?
Poi non stupiamoci dei risultati. In ogni caso è paradossale che chi denuncia l’eccessivo costo dei nostri prodotti poi sia favorevole all’Euro che aggrava questa differenza.

21. Il costo del lavoro è solo una parte del problema ma noi non abbiamo fatto ricerca, innovazione, infrastrutture, riforme ecc. È così?

Primo: non è vero e basta andare (magari usando un Frecciarossa, tanto per parlare di infrastrutture) in moltissime aziende italiane per trovare dei modelli di organizzazione e innovazione.
Tuttavia la questione è un’altra: qualsiasi siano i motivi per cui la nostra industria si è trovata fuori mercato (veri, come: Germania che ha compresso i salari, eccessiva inflazione nei primi anni dell’Euro, rigore mentre altri spendevano a debito per riformare il lavoro e sostenere banche e industrie ecc., oppure falsi come: gli altri sono biondi, noi siamo lazzaroni, c’è la Cina ecc.) è stupido pensare di rimetterci in pari “facendo lo stesso” dei nostri concorrenti.
La distanza da colmare è troppa e poi i concorrenti reagirebbero, col vantaggio ulteriore di poter beneficiare di tassi di finanziamento molto più bassi dei nostri.
È sempre bene prendere esempi da chi ha avuto successo ma prima di poter giocare ad armi pari occorre riallineare il cambio in modo da trovarci sulla stessa linea dei nostri concorrenti.
È giusto che un atleta si alleni ma non ci si allena bene a stomaco vuoto e, anche se, nonostante tutto, si fosse volenterosi e allenati, non si può pensare di correre i cento metri partendo cinquanta metri indietro.
Allo stesso modo ci sono tante riforme che sarebbe corretto fare (basti pensare alla giustizia) ma ogni riforma seria necessita di tempo e denaro. Con l’Euro non l’avremo mai.

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