giovedì 12 dicembre 2013

"Umanizzare" il capitalismo: un errore da NON fare


Stavo per scrivere che amo i libri che partendo dai luoghi comuni, li distruggono con la forza del ragionamento schiudendo al lettore più ampi e illuminati orizzonti. In realtà, però, tutti i grandi libri assolvono questa funzione. È proprio la funzione della cultura quella di schiodarci dalla visione delle ombre della caverna e donarci la luce.
Stasera voglio parlare di Zizek, del suo libro Un anno sognato pericolosamente.
Ho tratto un breve passo che dimostra come anche un ragionamento che sembra giusto, animato da buonafede e generosità possa essere completamente errato. Mi ha colpito perché il discorso di “umanizzare” il capitalismo l’ho fatto anch’io e chissà quanti altri di voi. Ed è un errore.
Credo che il passo sia utile non solo per quello che dice, ma anche come piccolo promemoria da tener presente quando si leggono libri di economia politica (che sono fioriti a centinaia in questo periodo di “crisi”).
Riconoscere e buttare a mare i luoghi comuni che abitano dentro di noi; questa è la parola d’ordine.
Oggi siamo bombardati da una moltitudine di tentativi di “umanizzare” il capitalismo, dall’ecocapitalismo al capitalismo del reddito di base.
Il ragionamento che soggiace a questi tentativi è il seguente: l’esperienza storica ha dimostrato che il capitalismo è di gran lunga il modo migliore di generare ricchezza: allo stesso tempo, bisogna ammettere che, lasciato in balia di sé stesso il processo di riproduzione del capitale comporta sfruttamento, distruzione delle risorse naturali, sofferenza di massa, ingiustizia, guerre, ecc.
Il nostro obiettivo deve allora essere quello di conservare la matrice capitalista fondamentale della riproduzione orientata al profitto, guidandola e regolandola in modo tale da metterla al servizio degli scopi più ampi di benessere e giustizia globali. Di conseguenza, dobbiamo lasciare che la bestia capitalista continui a funzionare nel modo che le è proprio e accettare che i mercati abbiano le loro esigenze le quali devono essere rispettate, che ogni intromissione diretta nei meccanismi del mercato condurrebbe alla catastrofe; tutto ciò che possiamo sperare è di addomesticare la bestia…
Eppure, tutti questi tentativi, per quanto ben intenzionati, come spesso sono, nel loro sforzo di unire realismo pratico e virtuoso impegno a favore della giustizia, prima o poi incontrano il Reale dell’antagonismo tra queste due dimensioni: la bestia capitalista sfugge sempre alla regolamentazione sociale benevola. In un determinato momento, saremo dunque costretti a porre la domanda fatale: giocare con la bestia capitalista è veramente l’unico gioco che riusciamo a immaginare? E se, per quanto produttivo sia il capitalismo, il prezzo da pagare perché continui a funzionare diventasse semplicemente troppo alto? Se evitiamo questa domanda e continuiamo a “umanizzare” il capitalismo non faremo che alimentare il processo che stiamo tentando di invertire.

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