sabato 16 novembre 2013

Sull'Arlesiana di van Gogh


(pagina tratta da Storie che danno da pensare, Adelphi, del grande scrittore Robert Walser)
Di fronte a questo quadro viene in mente ogni sorta di pensieri, e svariate domande si impongono spontanee a chi si perda a contemplarlo, domande di tipo così semplice e nello stesso tempo, tuttavia, di tipo così strano e sconcertante che sembra non possa esservi nessuna risposta. Molte domande trovano il loro significato più bello e la risposta più squisita e più fine proprio nel fatto che non abbiano risposta. Quando per esempio un innamorato chiede alla sua dama: “Posso avere qualche speranza?” e lei non replica nulla, la mancata risposta equivale in certi casi a uno stupendo sì! E altrettanto avviene in tutte le cose misteriose, in tutte le cose grandi; e qui siamo di fronte a un quadro pieno di misteri, pieno di grandezza, pieno di profonde e belle domande e pieno di risposte altrettanto profonde, sublimi e belle. È un quadro meraviglioso e c’è da rimanere stupefatti che lo abbia potuto dipingere un uomo del diciannovesimo secolo, giacché è dipinto come se fosse opera di un uomo e di un maestro dei primi tempi del cristianesimo.
Tanto grandioso quanto semplice, tanto commovente quanto sereno, tanto discreto quanto di estasiante bellezza è il ritratto della donna di Arles che, senza troppi complimenti, uno vorrebbe avvicinarsi a lei con la semplice domanda: “Dimmi, hai sofferto molto?”. Ora è il mero ritratto di una donna, ora torna a essere l’immagine del crudele enigma della vita nelle fattezze di colei che ha posato per il pittore e gli è servita da modello.
Tutto in questo quadro è dipinto con uno stesso amore di cattolica solennità, di inesorabile devozione, serio e severo, la manica come la cuffia, la sedia come gli occhi cerchiati di rosso, la mano come il viso; e il tratto e lo slancio del pennello, misterioso ed energico, pare assolutamente leonino, sicché non ci si può sottrarre all’impressione di qualcosa di titanico. Eppure e sempre, non è nient’altro che l’immagine di una donna presa dalla vita d’ogni giorno, e proprio questa circostanza così misteriosa ne costituisce l’aspetto grandioso, toccante sconvolgente. Lo sfondo del quadro è come l’ineluttabilità stessa di un duro destino. Qui una persona è dipinta tale quale come essa è, e con l’aspetto di chi da lungo tempo ha dovuto abituarsi a tenere in silenzio per sé tutto ciò che ha provato, in quanto forse si è già dimenticata per metà di tutto, di tutto quanto ha dovuto sopportare, lasciar perdere e superare. Verrebbe voglia di accarezzarle, le guance smagrite di questa…donna sofferente. Il cuore dice che non si dovrebbe stare a capo coperto davanti al dipinto, ma che bisognerebbe togliersi il cappello, come entrando sotto le volte consacrate di una chiesa. E non è curioso forse, e al tempo stesso nient’affatto curioso, che qui a un pittore provato dal destino (perché tale egli fu!) capiti di rappresentare una donna provata dal destino? Deve essergli subito piaciuta in sommo grado, e l’ha dipinta. Costei, trattata crudelmente dal mondo e dalla sorte, e ora forse divenuta essa stessa crudele, fu per lui un’improvvisa, grande esperienza, un’avventura dell’anima. Sembra anche, come ho sentito dire, che l’abbia dipinta più volte.
(infatti io ne ho trovate sei versioni)

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