sabato 23 novembre 2013

San Giorgio e il drago ovvero l'essenza del teatro


Quei due, nemici da sempre, si fronteggiano ostili, posti eternamente di profilo. San Giorgio e il drago si fissano negli occhi, pronti all’attacco. Sarebbe meglio dire il drago e san Giorgio, perché il drago si trova sulla sinistra del quadro come fosse entrato in scena dalla quinta della cornice e non dalla grotta stilizzata che s’intravvede sul fondo. San Giorgio campeggia nella parte destra e non dà l’impressione, pur essendo a cavallo, di essere arrivato in quell’istante con l’intenzione di sconfiggere il drago. Ha l’aria di essere sempre stato lì. È il drago che entra in scena, il cavaliere lo aspetta da tempo ed è pronto a ucciderlo ficcandogli la lancia nella gola fiammeggiante. I due personaggi, anzi tre con il cavallo, sono dipinti con la precisione maniacale dei miniaturisti, mentre il paesaggio è accennato con tratti approssimativi in modo da somigliare al fondale di una scenografia teatrali. Tutti i quadri che ho visto con san Giorgio e il drago, così mi sembra di ricordare, hanno lo stesso schema compositivo. Cambiano i colori, gli sfondi e i particolari. Il drago può avere forme fantasiose, può anche essere fornito di ali palesemente inadeguate al volo, ma si trova inevitabilmente in basso rispetto al cavaliere. Deve dare l’idea di un mostro partorito dalla terra, per quanto grande e alato è costretto a strisciare. Invece l’uccisore del drago è con bella evidenza figlio dell’aria. Anche se incarnato e umanizzato nonché bisognoso di cavalcatura per i suoi spostamenti, è imparentato con gli angeli. Forse è stato calato sulla scena per mezzo di corde e carrucole. Il cavallo ha la fissità rampante dei suoi simili messi alla gogna nelle giostre. Anche la lancia, anche l’armatura, anche il pennacchio sul cimiero evocano la giostra, quella che si fa per gioco nelle piazze dei paesi reinventando un ingenuo medioevo da figurine Liebig. Il dragone verde ormai non fa paura neppure ai bambini. Dunque san Giorgio e il drago non sono che personaggi araldici, senza carne, visti solamente di profilo. Ritagliati in un lamierino di ferro e appesi a un angolo di strada, potrebbero diventare l’insegna di una trattoria o di un vecchio albergo in una cittadina di provincia. Ora ci vuole una musica d’organetto o di violino dal ritmo un po’ ossessivo sostenuto da un tamburino scordato. Ecco, ci siamo inventati il nostro teatrino. Per trasformare san Giorgio e il drago da emblema colorato in personaggi a tutto tondo basta un colpo di luce radente. Adesso drago cavallo e cavaliere fremono di vita, la lancia sta per scendere nelle fauci spalancate della bestia, tra un attimo si concluderà l’antico dramma e calerà il sipario.
Ma prima, cosa è successo prima? Intendo prima dell’arrivo miracoloso dell’argenteo cavaliere. Per centinaia di anni il drago è rimasto solo sulla scena. Immaginiamolo dunque nell’aspro paesaggio, il nostro drago, perplesso e solitario. Si porta addosso il fetore del proprio sterco e della propria orina che soffoca la grotta abitata per secoli. Egli non può accoppiarsi e riprodursi perché su tutta la terra non esiste una femmina della sua specie. Forse per questa sua condizione di unico sopravvissuto di una razza antichissima, è costretto all’immortalità. E questa è la sua maledizione, la sua condanna. Ogni anno, nel giorno stabilito, gli tocca divorare la vergine che gli abitanti del paese portano in dono vestita dell’abito più bello. Per loro è una festa, per il drago un terribile sacrificio. Un sacrificio inutile, tra l’altro, perché gli uomini non sanno, o fanno finta di non sapere, che ormai da molto tempo la stirpe dei draghi è sconfitta, e che i mostri non costituiscono più un pericolo per l’umanità. Fuori della grotta ci sono scarpine, cinture, brandelli di vestiti, collane spezzate, specchietti che lentamente la polvere cancella. Quando arriverà il cavaliere dalla lunga lancia acuminata? Lo vedrò avvicinarsi, ci fisseremo per alcuni secondi: leggerà nei miei occhi la disperazione, il desiderio di farla finita? Capirà che spalancherò le fauci non per terrorizzarlo con le fiamme ma per facilitare l’introduzione della lancia in gola – ultima comunione – giù fino al cuore? Sarà spaventato, tremerà, la sua giovine fronte sarà gelata di sudore, ma a un certo punto prevarrà la sete di gloria. La vanità, non il coraggio, gli darà la forza di spronare la cavalcatura e buttarsi in avanti. Per qualche istante saremo uniti da quel ferro sottile, io il cavallo e il cavaliere, a formare il più singolare degli organismi viventi, poi per me verrà finalmente quella morte dolcissima, tante volte sognata.
San Giorgio e il drago: due personaggi che si incontrano su un palcoscenico, l’uccisore e la vittima, l’uomo e la bestia, l’anima e il corpo, Jekyll & Hide, il giorno e la notte, il maschio e la femmina che in coppia danzano spruzzando dalla bocca gocce di saliva e parole.
San Giorgio e il drago sono il teatro. Tutto il teatro.

(Tonino Conte, L'amato bene)

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