sabato 9 novembre 2013

Guido Morselli e il comunismo


Guido Morselli è un grandissimo scrittore.
Se non lo conoscete, ve lo consiglio caldamente. Scegliete uno dei suoi romanzi a caso, leggetelo e vedrete che mi darete ragione. Purtroppo in vita non ebbe fortuna, tanto è vero che Morselli si suicidò nel 1973 e le sue opere cominciarono ad essere pubblicate postume da Adelphi a partire dal 1974.
Stasera voglio segnalare una pagina del suo Diario dedicata al comunismo. Il comunismo fu un interesse costante della vita intellettuale e artistica di Morselli che scrisse due romanzi intitolati: Il comunista e Incontro col comunista ai quali dedicherò dei post prossimamente.
La pagina che voglio segnalare risale al 7 maggio 1961 e tratta del comusmo sovietico.
Dopo aver letto una lunga relazione (che riassume il lavoro dei comunisti italiani nel campo politico e in quello sindacale) di Giovanni Amendola su L’Unità del 6 maggio 1961, Morselli annota:
…Colpiscono le cifre che dimostrano la sproporzione tra i profitti degli imprenditori e i salari. Il plusvalore è aumentato sia in senso assoluto sia in senso relativo (“tasso del plusvalore”).
Il progresso tecnico, oggi come 100 anni fa quando Marx scriveva, sebbene forse in grado minore, non si ripercuote in un alleggerimento della fatica degli operai. L’uso delle ore “straordinarie” neutralizza in parte la riduzione della giornata alle otto ore. Gli infortuni sul lavoro non diminuiscono. I disagi a cui sono sottoposti gli operai per raggiungere il luogo del lavoro, sono sempre gravi.
…Le mie obiezioni contro il comunismo qual è praticato dall’Amendola (ossia, s’intende, il comunismo in atto nell’Urss), rimangono. – Cerco di esporle qui in compendio.
Alcune sono obiezioni di principio.
1. La storia del comunismo sovietico è, e séguita ad essere, costellata di violenze arrecate alla libertà e alla vita stessa degli individui, e qualche volta delle masse (dalla repressione dei kulaki 35 o 40 anni fa, alle vicende ungheresi del ’56, e oltre). Se non erro, si cerca di contestarlo dicendo che per la costruzione del socialismo era pur necessario ricorrere a rimedi estremi, e affrontare certe crisi con drastica energia: le grandi riforme, le rivoluzioni, sono conquiste che non si raggiungono senza sacrifici: ecc. – Ora a me pare che la tesi del fine che dovrebbe giustificare i mezzi, sia una tesi tipicamente “borghese”, e una delle più inique. Come sostegno di ogni forma di Realpolitik, da Machiavelli a Bismarck e a Hitler, questa tesi si è rivelata come un vero flagello dell’umanità.
2. La cosiddetta dittatura del proletariato anziché essere uno stadio transitorio accenna a diventare lineamento permanente del regime di tipo comunistico. Il brutto si è che codesta formula significa in pratica, brutalmente, dittatura dei pochi individui, o dell’unico individuo, che il caso o la violenza o l’astuzia ha portato a essere alla testa del proletariato.
E non basta ancora. La dittatura del proletariato viene intesa e attuata da parte sovietica come implicante il primato, non pure ideologico ma politico e di fatto, di un popolo sopra gli altri popoli. Come è stato ripetuto tante volte, la politica del comunismo russo ha molte somiglianze con l’espansionismo e l’imperialismo del vecchio regime degli czar, e di altri regimi capitalistici.
3. Venendo al bagaglio dogmatico del comunismo, la teoria del determinismo storico materialistico integralmente inteso, la famosa teoria per cui i fatti della cultura, le idee, le ideologie, i prodotti dell’attività fantastica e sentimentale dell’uomo, sono semplici soprastrutture di una fondamentale realtà economica – riesce sempre meno accettabile agli stessi comunisti più evoluti. Lukàcs ha affermato che i fautori di tale teoria la desumono, non dall’autentico marxismo, ma da una caricatura di esso. D’altra parte, codesto dogma o assioma ha nel marxismo la funzione che quello del peccato d’origine ha nel cristianesimo: è qualcosa che si può sottacere, forse, ma che rimane sempre nello sfondo, a spiegare, o a colorire, l’insieme della dottrina. Senza di esso il vino dell’insegnamento marxistico risulta pericolosamente annacquato, e il comunismo minaccia di ridursi a semplice prassi priva di un proporzionato e caratteristico rilievo ideologico.
L’obiezione di fatto che oppongo al comunismo è la seguente.
Se è vero che avete rinnovato dalle radici la società, dovreste aver rinnovato nello stesso modo l’individuo, che è ciò di cui in concreto la società si sostanzia. Nella sua effettiva condotta di vita, nella sua moralità, nel costume, l’uomo sovietico dovrebbe essere ben superiore (e in ogni caso ben diverso) dall’uomo della società capitalistica. Pare – viceversa – che non sia così. Non mi occorre una lunga indagine per rendermene conto. Prendo in considerazione un aspetto solo, ma caratterizzante, ma essenziale, della vita dell’individuo, ossia il suo comportamento e la sua mentalità nei confronti del problema dell’amore e del sesso. Da questo, giudico lo stadio intellettuale, morale, psichico cui è giunto; non dalla circostanza che possieda o no un frigorifero, o che frequenti più o meno assiduamente le biblioteche e i musei. – Ora io sento dire che il più piatto, il più borghese conformismo impera in questa materia in terra sovietica. L’uomo o la donna che abbiano la sventura di un’esistenza, sessuale, irregolare, sono bollati a fuoco a Mosca come e peggio che nelle nostre “benpensanti” cittadine di provincia. Non è nemmeno da stupirsene, se si pensa che Lenin su tale argomento professava principi che potremmo definire da morale parrocchiale; ma, secondo me, questo è sufficiente a svelare che, se andiamo un poco oltre la superficie, l’uomo sovietico, prodotto vivente della rivoluzione comunista, non è gran che diverso dall’esemplare umano che alligna in regime capitalistico.

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