martedì 5 marzo 2013

Bolaño su un quadro di Tiziano...



A Firenze si trova questa curiosa tela di Tiziano. Per lungo tempo non si seppe chi ne fosse l’autore. Dapprima fu attribuita a Leonardo e poi a Sebastiano del Piombo. Pur senza una prova definitiva, oggi tutti i critici sono inclini a ritenerla opera di Tiziano. Nel quadro vediamo un uomo ancora giovane, con i capelli lunghi e ricciuti, di color marrone scuro, forse con una leggera sfumatura rossiccia, la barba e i baffi, che, in posa, lascia vagare lo sguardo verso destra, probabilmente in direzione di una finestra che noi non vediamo, una finestra che tuttavia possiamo immaginare chiusa, con le tende aperte o sufficientemente aperte da lasciar penetrare nella stanza una luce gialla, luce che il tempo confonderà con le vernici che coprono l’olio.
Il volto del giovane è bello e profondamente pensoso. Guarda la finestra, se davvero la guarda, ma probabilmente ciò che vede avviene solo all’interno della sua testa. Non si tratta, però, di una fuga. Forse Tiziano gli aveva detto di mettersi così, di dirigere il volto verso quella luce, e il giovane non fa altro che obbedirgli. Si direbbe, d’altra parte, che abbia davanti a sé tutto il tempo del mondo. Con questo non voglio dire che il giovane pensi di essere immortale. Al contrario.
Il giovane sa che la vita si rinnova e che l’arte del rinnovamento è, spesso, la morte. Il suo volto denota intelligenza e nei suoi occhi e sulle labbra è percepibile una lieve contrazione di tristezza o forse, più che di tristezza, di malavoglia, il che non smentisce il fatto che in un determinato momento si senta padrone di tutto il tempo del mondo, perché se è vero che l’uomo è una creatura del tempo, ipoteticamente (o artisticamente, se me lo permettete) il tempo è anche una creatura dell’uomo.
Di fatto, in quest’olio il tempo, rappresentato con i tratti dell’invisibilità, è un gattino posato sulle mani del giovane, mani guantate, o meglio, sulla mano destra guantata che si posa su un libro, che è l’esatta misura dell’uomo malato, più che il suo abito con il collo di pelliccia, più che la sua camicia, forse di seta, più che la sua posizione davanti al pittore e ai posteri, ovvero alla fragile memoria che questi gli garantisce o gli vende. La mano sinistra non so dove sia.
Come avrebbe dipinto un pittore medioevale quest’uomo malato? Come l’avrebbe dipinto un non figurativo del Novecento? Probabilmente fra ululati e grida di terrore. Giudicato dall’occhio di un Dio incomprensibile o prigioniero nel labirinto di una società incomprensibile. Tiziano, invece, ce lo consegna, a noi spettatori del futuro, armato delle forme della simpatia e della comprensione. Quel giovane può essere Dio o può essere me. Delle risate di ubriachi possono essere le mie risate o possono essere la mia poesia.
Quella Madonna così simpatica è mia amica. Quella Madonna sconsolata è la lunga marcia della mia gente. Il bambino che corre con gli occhi chiusi in un giardino solitario siamo noi.

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