martedì 19 febbraio 2013

Una cosa interessante: Irving Janis e il groupthink. un breve accenno



In questi giorni mi sono imbattuto in un argomento molto interessante che spero di avere occasione di approfondire in seguito. Si tratta dello psicologo sociale Irving Janis e della sua teoria del pensiero di gruppo (groupthink).
Ne parlo, anche se brevemente, perché è un fenomeno che mi è capitato spesso di osservare e che m’inquieta (e mi fa diffidare e abbandonare) sempre quando vedo un gruppo, magari con un capo carismatico.
In breve il groupthink studia il fenomeno di gruppi molto coesi che spesso raggiungono un consenso senza che le loro idee vengano sottoposte a un vaglio critico sufficiente. Questo fenomeno è da ricondurre al desiderio dei membri del gruppo di minimizzare i conflitti al loro interno, e si accentua nel momento in cui il gruppo si sente superiore al mondo esterno. Chiunque metta in discussione il consenso corre il rischio di essere escluso dal gruppo e, con ciò, di perdere lo status che esso conferisce a ognuno.
Ci sono vari tipi di gruppo e le meccaniche sono più o meno le stesse. In pratica il gruppo dovrebbe essere molto maturo ed elastico per accettare sia una dialettica interna senza tanti compromessi, sia saper accettare e prendere in considerazione le critiche che provengono dall’esterno.
In più, ogni membro del gruppo dovrebbe avere la capacità di non essere succube di chi ha la personalità più forte (o il bastone del comando) e dovrebbe anche superare la paura di rimanere solo. E non è facile, ovviamente.
Se il problema del groupthink alimentato dallo spirito di corpo è molto serio nell’ambito di gruppi formali fortemente omogenei come i militari, è ancora più serio nei gruppi informali, i cui membri possono essere espulsi con il consenso degli altri. Un ufficiale che dissente rischia di non fare carriera, ma non viene espulso dalle forze armate a meno che non violi delle norme specifiche. In un gruppo informale di esperti, al contrario, il dissenso viene represso molto più rapidamente.
Il consigliere di Kennedy Arthur Schlesiger ricorda di essere rimasto in silenzio durante tutta la discussione che si svolse nel gabinetto presidenziale sulla Baia dei porci per paura di essere tagliato fuori dalla ristretta cerchia di consiglieri di Kennedy.
È un problema che si fa tanto più serio quanto più il gruppo è esposto a minacce dall’esterno. Prendere in considerazione le ipotesi dei critici è visto come un tradimento del gruppo, e quindi è sanzionato severamente. Qualcosa di analogo accadde all’esercito in Vietnam: al crescere delle contestazioni nei confronti del conflitto, il dipartimento della Difesa si chiuse sempre di più in se stesso.

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