martedì 13 novembre 2012

Razzi


Nel volume Il mio cuore messo a nudo sono raccolti alcuni scritti postumi di Baudelaire. La prima parte è intitolata Razzi e stamattina l’ho riletta per l’ennesima volta. In questi giorni mi sento azzurro come una poesia russa del Novecento e infatti sto leggendo Blok che piace anche all’Adorabile Etrusca, ma di lui parlerò in un altro post perché voglio ancora degustarmelo per bene.
I primi pensieri che mi hanno colpito sono stati quelli sull’amore:
L’amore è il gusto della prostituzione. Non c’è anzi piacere nobile che non possa essere ricollegato alla Prostituzione.
L’amore può derivare da un sentimento generoso: il gusto della prostituzione; ma è corrotto ben presto dal gusto della proprietà.
Subito dopo segue una coerente (e meravigliosa) definizione dell’arte:
Che cos’è l’arte? Prostituzione.
Poi Charles ha scritto una cosa proprio per me, nel senso che è un pensiero che io sento completamente affine:
L’entusiasmo applicato ad altro che alle astrazioni è sintomo di debolezza e malattia.
Una breve nota sul “naturale linguaggio artistico” umano:
Cielo tragico. Epiteto d’ordine astratto applicato a un essere materiale.
Quest’altro pensiero dovrei stamparlo e metterlo alla parete sopra il mio giaciglio:
La vita ha un solo vero fascino; il fascino del Gioco. Ma se vincere o perdere ci è indifferente?
Ecco. Io sono completamente indifferente a questo gioco. Che me ne frega a me di concorrere con i miserabili per le loro stronzate? Non sono uno snob, ma sono nato così.
Andiamo un attimo al porto:
Quelle belle e grandi navi, impercettibilmente cullate (dondolanti) sulle acque tranquille, quelle navi robuste, dall’aria sfaccendata e nostalgica, non ci dicono forse in una lingua muta: Quando partiamo per la felicità?
Una stoccata a Victor Hugo:
Hugo-Sacerdozio ha sempre la fronte china; - troppo china per poter vedere qualcosa di diverso dal proprio ombelico.
E concludiamo con un pensiero sull’uomo e il Progresso, un argomento che spesso mi prende e mi porta via. È un pensiero bicorne. Da una parte penso che l’uomo non sia cambiato dai tempi delle caverne e che mai cambierà. Dall’altra parte mi è rimasto impresso un passo del Libro delle previsioni che Saramago appose a Le intermittenze della morte: Sapremo sempre meno che cos’è un essere umano.
Lascio la parola a Charles e ritorno da Aleksandr, Heinrich e altri.
Che c’è di più assurdo del Progresso, dato che l’uomo, come il fatto quotidiano dimostra, è sempre simile e uguale all’uomo, ossia sempre allo stato selvaggio. Che cosa sono i pericoli della foresta e della prateria in confronto agli urti e ai conflitti quotidiani della civiltà? Che l’uomo catturi la propria vittima sul Boulevard, o che trafigga la preda in foreste sconosciute, non è forse l’uomo eterno, cioè il più perfetto animale da preda?

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