lunedì 12 novembre 2012

Metto un foglio alla parete


Ho preso degli enormi fogli di carta da pacco di un colore marroncino chiaro. Li ho tagliati in due parti e sono ancora enormi. A cosa mi servono? A tracciare dei segni a mano libera, a entrare in armonia con me stesso, a ripercorrere gli atteggiamenti che in età prescolare costituivano il mio rapporto con il disegno: un disegno che si configurava come privo di qualsiasi contenuto estetico o finalità e, allo stesso tempo, teso verso l’atto istintivo del tracciare segni come espressione emotiva.
Quello che mi interessa è attuare una pura forza comportamentale attraverso la quale esprimere – per mezzo del segno tracciato – uno sfogo, un bisogno, una conquista… intendo riappropriarmi di quell’atteggiamento libero e disinibito, far rivivere la semplice possibilità espressiva di tracciati fatti senza pensieri.
Ovviamente il foglio si può piazzare dove si vuole: sul cavalletto, per terra, su un tavolo…io l’ho attaccato alla parete con dello scotch di carta e lì traccio dei segni armonici, disarmonici, forti, violenti, leggeri e impalpabili con un unico obiettivo: divertimento e riconciliazione col disegno.
Bene, vado a tracciare liberamente e vi lascio con questo simpatuicissimo aneddoto.
Uno studioso del primo Novecento che si occupava dei disegni di bambini in età prescolare così raccontava.
Un padre, rientrato a casa, trova la figlioletta intenta a disegnare sul tavolo di cucina. Compiaciuto, si avvicina all’opera così composta: alla sinistra del foglio, ordinatamente rappresentata, la figura di un soldato ornato di cappello, mantello e spada; sulla destra una bellissima figura femminile dai capelli lunghi ricadenti su un ricco vestito che le arriva ai piedi.
Il padre chiede alla figlia chi sia mai quella donna così bella. “La mamma!” risponde sorridente la figlia.
“E il soldato?” le chiede il padre.
“L’uomo che viene quando tu non ci sei!”.

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