giovedì 29 novembre 2012

L'abolizione del lavoro (2)


II lavoro si fa beffe della libertà. La linea ufficiale è che a tutti sono riconosciuti dei diritti, e che viviamo in una democrazia. Ma esistono individui meno fortunati che non sono così liberi come noi e vivono in Stati di polizia. Costoro sono delle vittime costrette ad eseguire continuamente ordini senza discussioni, per quanto essi possano essere arbitrari.
Le autorità li sorvegliano strettamente. I burocrati controllano anche i più piccoli dettagli della loro vita quotidiana. I funzionari che li comandano a bacchetta, rispondono solo ai loro diretti superiori, siano essi pubblici o privati. Il dissenso e la disobbedienza vengono entrambi repressi. Gli informatori riferiscono regolarmente alle autorità. Ovviamente tutto ciò rappresenta una situazione terrificante.
E così è, sebbene questa non sia altro che la descrizione di un moderno luogo di lavoro. I progressisti, i conservatori, e i libertari che si lamentano del totalitarismo sono falsi e ipocriti. C'è più libertà in una dittatura moderatamente destalinizzata di quanta ve n'è in America in un ordinario luogo di lavoro. In un ufficio o in una fabbrica trovi lo stesso genere di gerarchia o di disciplina proprio di una prigione o di un monastero. Infatti, come Foucault ed altri hanno
dimostrato, prigioni e fabbriche nascono all'incirca nello stesso periodo, e i loro gestori consapevolmente si scambiano fra loro le tecniche di controllo. Il lavoratore è uno schiavo parttime.
Il datore di lavoro decide quando bisogna comparire sul luogo di lavoro e quando bisogna andarsene, e cosa si deve fare in quel lasso di tempo. Ti dice quanto lavoro devi fare e a quale ritmo.
Ha la facoltà di spingere il suo controllo fino ad estremi umilianti, stabilendo, se lo desidera, quali vestiti devi indossare e quanto spesso puoi recarti al gabinetto. Con poche eccezioni può licenziarti per una ragione qualsiasi, o anche per nessuna. Può spiarti facendo uso di informatori ed ispettori, compila un dossier per ogni impiegato. L'atto di ribattere viene chiamato "disobbedienza", proprio come se il lavoratore fosse un bambino impertinente. Egli non solo può licenziarti, ma può anche farti perdere il diritto al sussidio di disoccupazione. Senza necessariamente avallare un tale atteggiamento in rapporto ai bambini stessi, è degno di nota che
a scuola e a casa essi ricevono lo stesso trattamento, giustificato nel loro caso da una supposta immaturità. E che cosa fa venire in mente tutto ciò riguardo i loro genitori o i loro insegnanti in quanto lavoratori?
Per decenni, e per la maggior parte delle loro vite, l'umiliante sistema di dominio che ho descritto regola più della metà del tempo che la maggior parte delle donne e la stragrande maggioranza degli uomini passano in stato di veglia. In rapporto a certi scopi non è troppo fuorviante chiamare il nostro sistema democrazia, oppure capitalismo, o meglio ancora industrialismo, ma i termini più appropriati sarebbero fascismo di fabbrica e oligarchia d'ufficio.
Chiunque dica che certe persone sono "libere" mente o è uno sciocco. Tu sei quello che fai: se fai un lavoro stupido, noioso, monotono, hai buone probabilità di diventare stupido, noioso e monotono. Il lavoro è la migliore spiegazione per il cretinismo servile da cui siamo circondati, ancor più dei pur potenti meccanismi di istupidimento rappresentati dalla televisione e dal sistema di istruzione. Gente irreggimentata per tutta la vita, sospinta al lavoro dalla scuola, rinchiusa nella famiglia all'inizio della loro vita e in una casa di cura alla fine, non può che essere assuefatta alla gerarchia e mentalmente schiava. Ogni attitudine all'autonomia risulta talmente atrofizzata che la paura della libertà è tra le poche fobie che in loro appaiono razionalmente fondate. L'addestramento alla dedizione verso il lavoro ha luogo nelle loro famiglie di provenienza, ma anche nell'ambito della politica, della cultura, e in ogni altro campo di attività, riproducendo così il sistema in più di una maniera.
Una volta che la vitalità della gente sia stata loro sottratta nell'ambito del lavoro, è molto probabile che costoro si sottometteranno alla gerarchia e agli specialisti in rapporto ad ogni altra attività. Ci sono abituati.
Siamo così immersi nel mondo del lavoro che non possiamo renderci completamente conto di quanto esso determini la nostra esistenza. Dobbiamo così affidarci ad osservatori esterni, prodotto di altre epoche e di altre culture, se vogliamo essere in grado di percepire i pericoli e il carattere patologico della nostra presente condizione. Nel nostro passato vi fu un'epoca in cui l' "etica del lavoro" sarebbe stata incomprensibile; e forse Weber era sulla strada giusta quando collegò la sua comparsa all'avvento di una nuova religione, il calvinismo, poiché se tale etica fosse comparsa oggi invece di 4 secoli fa sarebbe stata appropriatamente e immediatamente riconosciuta come il prodotto di una scelta.
Comunque stiano le cose, possiamo solo far ricorso alla saggezza degli antichi se vogliamo collocare il lavoro in una prospettiva storica: Gli antichi considerarono il lavoro per ciò che effettivamente è, ed il loro punto di vista prevalse, nonostante le eccentricità calviniste, fino a quando le loro idee non vennero cancellate dall'industrialismo, ma non prima di ricevere l'approvazione dei suoi stessi profeti.
Ammettiamo per un momento la falsità della tesi secondo la quale il lavoro riduce l'uomo ad una condizione di insensata sottomissione. Ammettiamo pure, a dispetto di ogni plausibile visione della psicologia umana e dell'ideologia degli imbonitori, che il lavoro non abbia alcun effetto sulla formazione del carattere. E conveniamo ancora che il lavoro non sia così noioso, faticoso e umiliante come tutti ben sappiamo esso sia nella realtà.
Anche se così fosse, la realtà del lavoro mostrerebbe ancora quanto siano derisorie tutte le prospettive a carattere umanistico e democraticistico ad esso connesse, e ciò proprio in quanto esso usurpa una parte così rilevante del nostro tempo. Socrate disse che i lavoratori manuali diventano dei cattivi amici e pessimi cittadini, e ciò in quanto non dispongono del tempo necessario all'adempimento dei doveri inerenti all'amicizia e alla cittadinanza. Aveva perfettamente ragione. A causa del lavoro, qualunque cosa facciamo la facciamo guardando l'orologio. Ciò che è "libero" nel cosiddetto tempo libero, è nient'altro che un insieme di attività paralavorative che oltre tutto non costano nulla al padrone. Infatti, il tempo libero è dedicato soprattutto a prepararsi al lavoro, a recarsi al lavoro, a tornare dal lavoro, a riposarsi dal lavoro. Il tempo libero è un eufemismo che allude al particolare carattere del lavoro come fattore di produzione, costituito dal fatto che esso non solo provvede a sue spese al proprio trasporto al e dal posto di lavoro, ma si assume l'onere principale per quanto concerne la propria manutenzione e la relativa messa a punto. Il carbone e l'acciaio questo non lo fanno. Il tornio e la macchina da scrivere neppure. Mentre i lavoratori sì. Nessuna meraviglia se Edward G. Robinson in uno dei suoi film di gangster proclama: "Il lavoro è per gli imbecilli!".
Sia Platone che Senofonte attribuiscono a Socrate - ed ovviamente siamo d'accordo con lui - una profonda consapevolezza circa gli effetti distruttivi del lavoro sul lavoratore, sia in quanto cittadino che come essere umano. Erodoto considerava il disprezzo per il lavoro come un tratto caratteristico della Grecia classica al culmine della sua fioritura. Traendo dalla civiltà romana un solo esempio, osserviamo che Cicerone affermava: "Chiunque offra il suo lavoro in cambio di
denaro vende se stesso, e pone sé medesimo nel novero degli schiavi". Oggigiorno una tale franchezza è molto rara, ma le attuali società primitive, quelle che noi guardiamo dall'alto in basso, ci mandano messaggi che hanno influenzato gli antropologi occidentali. I Kapauku della Nuova Guinea occidentale, secondo Posposil, hanno una concezione equilibrata della vita, e coerentemente ad essa lavorano solo a giorni alterni, essendo il giorno del riposo destinato "a riguadagnare il potere perduto e la salute".
I nostri antenati, ancora alla fine del XVIII secolo, quando già si erano inoltrati lungo il cammino che porta alla nostra triste situazione attuale, almeno erano consapevoli di ciò che noi abbiamo dimenticato, cioè del lato oscuro dell'industrializzazione.
La loro osservanza riguardo il "Santo Lunedì" - cioè la pratica de facto
della settimana di cinque giorni 150-200 anni prima della sua instaurazione per legge - era la disperazione dei primi proprie-tari di industria. Fu necessario molto tempo prima che essi accettassero la tirannia della sirena, strumento che precede l'orologio a sveglia. Infatti fu necessario per un paio di generazioni sostituire gli adulti maschi con donne abituate all'obbedienza, e bambini che potevano essere plasmati secondo le necessità della produzione industriale. Perfino i contadini sfruttati nell'ancien regime riuscivano a strappare una considerevole quantità di tempo ai proprietari terrieri. Secondo Lafargue, un quarto del calendario dei contadini francesi era dedicato alle domeniche e ad altre festività, e le cifre, desunte da Chayanov relative a villaggi della Russia zarista, che è arduo qualificare come società progressista, mostrano analogamente che i contadini dedicavano al riposo un quarto o un quinto dei loro giorni.
In rapporto al livello di produttività siamo ovviamente molto indietro rispetto a queste società arretrate. I mugiki sfruttati sarebbero molto stupiti del fatto che vi sia ancora qualcuno di noi che lavori.
E noi dovremmo condividere tale stupore.
Comunque, al fine di comprendere pienamente la profondità del deterioramento della nostra condizione consideriamo ora la vita dell'umanità primitiva, senza stato e proprietà, quando conducevano un'esistenza errabonda come cacciatori e raccoglitori. Hobbes presume che la loro vita fosse pericolosa, brutale e breve.
Anche altri sostengono che allora la vita fosse una lotta continua e disperata per la sopravvivenza, una guerra contro una Natura ostile, con la morte e ogni genere di sventure in agguato per i meno fortunati, o per chiunque si fosse rivelato inadatto
alla sfida posta dalla lotta per l'esistenza. In realtà tale idea rappresenta nient'altro che una proiezione del timore diffuso nell'Inghilterra di Hobbes ai tempi della Guerra Civile, e proprio di comunità non abituate a fare a meno dell'autorità, riguardo un possibile crollo della struttura dello Stato. I connazionali di Hobbes avevano già incontrato forme alternative di società che
mostravano altri modi di vita - particolarmente in Nord America - ma queste erano
già troppo lontane dalla loro esperienza per essere comprensibili. (I ceti inferiori, più vicini alle condizioni degli Indiani, potevano comprendere meglio questo modo di esistenza e spesso ne furono attratti: durante tutto il XVII secolo i coloni inglesi abbandonarono il loro mondo unendosi alle tribù indiane, oppure quando vennero catturati in guerra, rifiutarono di tornare. Mentre gli indiani non si rifugiavano presso gli insediamenti dei bianchi, non più di quanto i tedeschi saltassero il muro di Berlino da ovest verso est). Il darwinismo, nella versione "della sopravvivenza del più adatto" - cioè quella di Thomas Huxley - costituisce più una fedele immagine delle condizioni economiche dell'Inghilterra vittoriana di quanto fosse della selezione naturale, come l'anarchico Kropotkin dimostrò nel suo libro Il Mutuo Appoggio, un fattore dell'evoluzione. (Kropotkin fu uno scienziato - un geografo - che ebbe modo, del tutto involontariamente, di sperimentare a fondo il lavoro dei campi quando venne esiliato in Siberia: sapeva di cosa stava parlando). Come la maggior parte delle teorie sociali politiche, ciò che Hobbes e i suoi successori hanno raccontato appare null'altro che qualcosa di simile ad una autobiografia non autorizzata. L'antropologo Marshall Sahlins, studiando i dati disponibili sugli attuali cacciatori-raccoglitori, confutò il mito hobbesiano in un articolo intitolato "L'originaria società dell'abbondanza". Infatti, essi lavorano molto meno di noi, ed è difficile distinguere il loro lavoro da ciò che noi chiamiamo gioco. Sahlins conclude che "cacciatori e raccoglitori lavorano meno di noi; la ricerca del cibo, invece di essere un lavoro continuo, è un'attività saltuaria mentre dispongono di molto tempo da dedicare al riposo, e la quantità di tempo consacrata al sonno da ciascun individuo nel corso di un anno è molto maggiore che in qualsiasi altro tipo di società".

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