martedì 16 ottobre 2012

Wittgenstein e la musica Classica (pensieri sparsi 3)

(Josef Labor, 1842-1924, compositore e organista boemo; operò a Vienna dal 1868. Conoscente della famiglia Wittgenstein)

La musica di Bruckner non ha più nulla del volto lungo e magro (nordico?) di Nestroy, Grillparzer, Haydn, ecc., ha invece un volto assolutamente rotondo, pieno (alpino?), di un tipo ancora più puro di quello di Schubert.
Struttura e sentimento nella musica. I sentimenti accompagnano la comprensione di un brano musicale così come accompagnano gli eventi della vita.
Labor, quando scrive della buona musica, è assolutamente non romantico. È questo un indizio molto singolare e significativo.
Il pensiero ormai è fiaccato e non si può più usare.
(Un’osservazione simile l’ho sentita una volta da Labor, che si riferiva ai pensieri musicali). Come la carta argentata che, una volta spiegazzata, non può più tornare perfettamente liscia. Quasi tutti i miei pensieri sono un po’ spiegazzati.
Not funk but funk conquered is what is worthy of admiration and makes life worth having been lived.
“Non la paura, ma la paura padroneggiata merita ammirazione e rende la vita degna di essere stata vissuta”.
Il coraggio, non la maestria; nemmeno l’ispirazione è il granello di senape che cresce fino a diventare un grande albero. Quanto è il coraggio, tanto è il legame con la vita e la morte. (Pensavo alla musica per organo di Labor e Mendelssohn). Ma non basta scorgere la mancanza di coraggio in un altro per trovare il coraggio per se stessi.
Pensa a quel che si diceva a proposito del modo di suonare di Labor: “Labor parla”. Strano! Che cosa, in quel modo di suonare, ricordava a tal punto il parlare? Ed è proprio strano che la somiglianza col parlare non sia per noi qualcosa di accessorio, ma anzi una cosa grande e importante! – la musica, o almeno, sicuramente, una certa musica, vorremmo chiamarla un linguaggio; ma una certa altra musica senz’altro no. (Non che così si debba dare necessariamente un giudizio di valore!).
Nella grande arte c’è sempre un animale SELVAGGIO: addomesticato. In Mendelssohn, ad esempio, no. La grande arte ha sempre come basso continuo gli istinti primitivi dell’uomo. Essi non costituiscono la melodia (come forse in Wagner), ma ciò che dà alla melodia la sua profondità e la sua forza.
In questo senso si può dire di Mendelssohn che è un artista “riproduttivo”.
Nello stesso senso: la casa che ho costruito per mia sorella Gretl è il prodotto di un orecchio certamente molto fine, di buone maniere, l’espressione di una grande comprensione (per una civiltà, ecc.). Manca tuttavia la vita primordiale, la vita selvaggia che vorrebbe trovare uno sfogo. Si potrebbe anche dire, quindi, che manca la salute (Kierkegaard). (Pianta di serra).
Per essere un buon maestro non basta ottenere dei risultati buoni, o addirittura sorprendenti, durante l’insegnamento. Perché è possibile che un maestro elevi i suoi scolari ad un’altezza per loro innaturale quando essi si trovano sotto il suo influsso diretto, ma non sia capace di guidare il loro sviluppo portandolo sino a quell’altezza; così che essi precipitano appena il maestro abbandona l’aula. Questo vale forse per me; ci ho pensato. (Le esecuzioni didattiche di Mahler erano splendide quando dirigeva lui; ma l’orchestra sembrava crollare appena lui stesso smetteva di dirigerla).
La tragedia consiste in questo: che l’albero non si piega ma si spezza. La tragedia è qualcosa di non ebraico. Mendelssohn è probabilmente il meno tragico di tutti i compositori.
Mendelssohn non è una vetta, bensì un altopiano.
Il suo tratto inglese.
Mendelssohn è come un uomo che può essere allegro solo se tutto è comunque allegro, o come un uomo che può essere buono solo se tutti sono buoni attorno a lui; non è certo come un albero che sta fermo dov’è, qualsiasi cosa gli succeda intorno. Io gli assomiglio e tendo a essere come lui.
Mi domando spesso se il mio ideale di civiltà sia nuovo, cioè attuale, o se esso non risalga all’epoca di Schumann. Quanto meno mi sembra una prosecuzione di quell’ideale, ma non la prosecuzione che esso ha di fatto avuto a quell’epoca. Dunque escludendo la seconda metà del secolo XIX. Devo dire che questo è avvenuto per puro istinto, e non come risultato di una riflessione.
La musica di Mendelssohn, quando è riuscita, è fatta di arabeschi musicali. Per questo ci risulta penosa in lui ogni mancanza di rigore.
Schubert è irreligioso e melanconico.
Si può dire, delle melodie di Schubert, che sono piene di pointes, il che non si può dire delle melodie di Mozart; Schubert è barocco. Si possono indicare certe parti di una melodia di Schubert e dire: vedi, l’arguzia di questa melodia sta qui, qui il pensiero si affila.
Si può applicare alle melodie di diversi compositori quel principio dell’osservazione secondo cui ogni tipo di albero è “albero” in un senso diverso. Ossia: non lasciarti fuorviare dal fatto che qualcuno sostiene che tutte queste sono melodie. Sono stadi in un cammino che conduce da qualcosa che tu non chiameresti melodia verso qualcosa d’altro che parimenti non chiameresti melodia. Osservando solo la successione dei suoni e i passaggi di tonalità, tutte queste forme appaiono senz’altro coordinate. Se però guardi il contesto in cui si trovano (cioè il loro significato), allora sarai portato a dire: qui la melodia è qualcosa di completamente diverso che là (qui ha un’altra origine, un altro ruolo, ecc.).
Per un compositore il contrappunto potrebbe rappresentare un problema straordinariamente difficile. E cioè questo: in quale rapporto devo pormi col contrappunto, io, con le mie inclinazioni? Può darsi che egli abbia trovato un rapporto convenzionale pur rendendosi conto che non è il suo rapporto, che non è chiaro quale significato il contrappunto debba avere per lui. (Pensavo a Schubert, e al fatto che alla fine della sua vita egli desiderava ancora prendere lezioni di contrappunto. Voglio dire che forse il suo scopo non era quello di saperne di più, ma piuttosto di scoprire quale fosse il suo rapporto con il contrappunto).
I motivi di Wagner si potrebbero definire frasi musicali in prosa. Così come c’è una “prosa rimata”, questi motivi possono certo essere collegati in una forma melodica, ma non danno luogo a una melodia.
Anche il dramma wagneriano non è un dramma, ma un giustapporsi di situazioni che sono come disposte su un filo il quale, a sua volta, è solo filato con accortezza ma non, come i motivi e le situazioni, ispirato.
È forse una brama insoddisfatta a far impazzire un uomo? (Pensavo a Schumann, ma anche a me).
Genio è ciò che ci fa dimenticare il talento del maestro.
Genio è ciò che ci fa dimenticare l’abilità.
Dove il genio è sottile, può traspirare l’abilità. (Preludio dei Maestri Cantori di Wagner).
Genio è ciò che ci impedisce di vedere il talento del maestro.
Solo dove il genio è sottile, si può vedere il talento.

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