venerdì 21 settembre 2012

Siamo uomini, mica bestie! [eh, appunto. è questo il problema]


Che vergogna che ho provato ieri sera.
Mentre giocavo con mia nipote sul divano, su raiuno (che stava guardando mia madre) è comparso bruno vespa (uno che si spaccia per giornalista) che ha cominciato col dire: “Stasera blà blà blà Porta a porta blà blà blà, intervista esclusiva blà blà blà Franco Fiorito accusato di aver DISTRATTO soldi dalla Regione Lazio attraverso bonifici e blà blà blà”… DISTRATTO?
Ma che cazzo di modo di parlare è? La parola giusta è RUBARE RUBARE RUBARE RUBARE RUBARE. Chiaro? La vogliamo finire di usare la lingua italiana a minchia di cane? La vogliamo finire di essere servi dei potenti? La vogliamo finire di dare la principale rete televisiva italiana in mano a questa gentucola? Che miseria e che vergogna!
Visto che non mi va di sporcare il blog dedicando un post a bruno vespa e visto che io non mi umilio nella vostra attualità fatta di schifezze e Matteo Renzi, posterò qualche riflessione tratta da Cicute (Dal diario di un filosofo) del filosofo Giuseppe Rensi.

Innanzitutto qualcosa che riguarda “fatti e idee”.
Chi di voi filosofi e pensatori non ha udito quella specie di rimprovero che suona più o meno così: “Ma la vuoi smettere di farti le pippe mentali? Ti vuoi occupare o no di cose serie e scientifiche? Occupati dei fatti, non di mere combinazioni di idee”.
Eppure nulla tramonta più presto d’una constatazione di fatti, nulla dura di più d’una mera combinazione d’idee. Il fatto trapassa presto, l’idea perdura sempre. Un libro di fisica di vent’anni fa non si legge più. Si legge ancora, invece, un’enunciazione di “mere” idee scritta venti secoli fa.

Passiamo ora a una cosa che m’interessa molto: il vizio e la sua essenza.
Se non ci si sta attenti, tutto può diventar vizio. Non solo il gioco d’azzardo, le sigarette, il vino, le donne; ma i libri, i quadri, gli scacchi, i francobolli, le scatole di fiammiferi…, cioè ogni cosa che diventi per noi un’idea fissa, una mania; che ci susciti il desiderio insaziabile e invincibile di possederne in sempre maggiore misura (il pleonektein di Platone essenza dell’adikia); al sempre maggior possedimento della quale tutta l’anima nostra, tutti i nostri pensieri siano asserviti.
In una parola, si può dire che l’essenza del vizio, abbia esso per oggetto le donne o le scatole di fiammiferi, è il collezionismo.
Collezionismo significa non averne mai abbastanza della cosa per cui si ha passione, volerne avere ancora, insaziabilmente ancora. Quest’è appunto l’essenza del vizio, il quale non consiste in un solo fatto, atto o caso, ma nella ripetizione, nel volerne ancora, nel volerne di continuo. È una fortuna quando il collezionismo, questa essenza del vizio, si volge – anziché alle donne, ai bicchieri di vino, alle sigarette – ai libri, alle stampe antiche, alle conchiglie fossili. Ma si tratta solo d’una diversa deviazione della stessa tendenza.
Per converso e di conseguenza, l’essenza della virtù è la rinuncia, il distacco. Cioè la dispersione della collezione.

Chiudiamo con un pensiero dedicato alle bestie e agli uomini.
Diamine, non siamo mica bestie, siamo uomini.
E con ciò voglio dire: non siamo mica esseri che in forza dell’istinto equilibrato e infrangibile non mangiano, non bevono, non godono sessualmente oltre il bisogno; ma esseri in cui appunto lo spirito ha rotto tale barriera dell’istinto e ha acceso il desiderio insaziabile, senza il bisogno e oltre il bisogno, spingendoli così necessariamente ad ogni sfrenatezza ed eccesso.
Non siamo mica bestie, siamo uomini. Lo dico non per far risaltare la nostra superiorità di natura su di esse; ma, al contrario: per giustificare con la nostra inferiorità rispetto ad esse le azioni peggiori delle loro che ad ogni momento compiamo.

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