martedì 10 luglio 2012

Notte in treno

oggi è una giornata di merda.


Questo brevissimo racconto di Irène non è tanto incentrato su una trama, su una “storia” o sui personaggi.
È dedicato ad una sensazione, ad una condizione umana particolare. È da pochi giorni scoppiata la guerra. La Francia l’ha dichiarata alla Germania dopo l’invasione nazista della Polonia.
In un vagone di un treno diretto a Parigi, s’instaura tra i passeggeri un’inusuale “fraternità”, una cortesia e una confidenza di solito sconosciute tra estranei che viaggiano insieme.
Notte in treno è un’istantanea di quei primi momenti in cui si viene proiettati da una vita all’altra, senza fiato, come se si cadesse dall’alto di un ponte, tutti vestiti, in un fiume profondo, senza capire cosa sta succedendo, serbando nel cuore un’insensata speranza.
Il racconto è ambientato in una sorta di no man’s land tra la pace e la guerra, con le paure, le ansie, le speranze, dove per prima cosa bisogna sbarazzarsi dei progetti inutili in attesa che il giorno faccia chiarezza sull’effettiva condizione di precarietà e pericolo.
L’unica storia che emerge tra le altre è quella di Marta. Ventenne dai lineamenti delicati e fini che la preoccupazione e lo smarrimento rendono teneramente belli. Marta è scappata da casa per raggiungere a Parigi il suo fidanzato. È stata costretta a scappare perché i genitori hanno sempre osteggiato la sua relazione col giovane e Marta vuole passare con lui almeno ventiquattro ore di felicità prima di affrontare l’ineluttabile destino. Vuole che l’uomo abbia dei bei ricordi della pace e della felicità casalinga prima di partire per la guerra e che questi ricordi siano legati a lei.
Non sappiamo nulla di come andrà a finire il sogno d’amore di Marta perché Némirovsky non lo dice.
L’unica cosa che possiamo fare è, imitando il giovane con l’anello d’argento al dito, augurarle buona fortuna.

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