giovedì 28 giugno 2012

Il Porto Sepolto

DESTINO
Mariano il 14 luglio 1916


Volti al travaglio
come una qualsiasi
fibra creata
perché ci lamentiamo noi?
Sulla guerra mondiale del '14-'18 ci sono un’infinità di monografie storiografiche, saggi, romanzi, film, documentari e tanto altro ancora.
La testimonianza, forse non più erudita, ma sicuramente più efficace è quella poetica e Ungaretti ne Il Porto Sepolto ce lo dimostra chiaramente.
In pochi versi c’è l’orrore, la paura, la pena e la speranza di sopravvivere di tutti i soldati che morirono e combatterono in una delle più grandi follie della storia umana.
Incomincio Il Porto Sepolto, dal primo giorno della mia vita in trincea, e quel giorno era il giorno di Natale del 1915, e io ero nel Carso, sul Monte San Michele. Ho passato quella notte coricato nel fango, di faccia al nemico che stava più in alto di noi ed era cento volte meglio armato di noi. Nelle trincee, quasi sempre nelle stesse trincee, perché siamo rimasti sul San Michele anche nel periodo di riposo, per un anno si svolsero i combattimenti.
Il Porto Sepolto racchiude l’esperienza di quell’anno.
Quando viene mandato a combattere sul Carso, Ungaretti scopre la propria fragilità in quella dei compagni, affratellati a lui dalla stessa paura della morte. Le poesie del Porto Sepolto nascono da questa nuova consapevolezza, che comporta la volontà di scavare dentro l’uomo, dentro la sua pena e di esprimere tutto questo con parole, immagini, similitudini e analogie che non siano logorate dal peso della tradizione. Perché in un contesto di guerra non pare più possibile cantare alla maniera dei poeti dell’Ottocento e men che meno alla maniera di D’Annunzio.
Non si tratta di seguire o meno certi modelli: ogni retorica, anche quella dell’imitazione, viene spazzata via dalla realtà sconosciuta e terribile della vita – e della morte – in trincea. È lei a dettare le parole nude del Porto Sepolto, questo straordinario nucleo fondante dell’intera opera di Ungaretti, che dà subito l’impressione di un’autobiografia essenziale, scandita in trentatré poesie, ciascuna delle quali sotto il titolo ha una data e l’indicazione del luogo, quasi fossero pagine di un diario in versi.
Il Porto Sepolto è qualcosa di speciale e nuovo e rivoluzionario nel panorama letterario del primo Novecento: ogni poesia mette a fuoco folgorazioni improvvise (“Col mare / mi sono fatto / una bara / di freschezza”), analogie spiazzanti (“Balaustra di brezza / per appoggiare stasera / la mia malinconia”), accostamenti imprevedibili di immagini (“Da questa terrazza di desolazione / in braccio mi sporgo / al buon tempo”).
Ungaretti compone i suoi versi di guerra dove capita: su brandelli di carta, “cartoline in franchigia, margini di vecchi giornali, spazi bianchi di care lettere ricevute”, li mette alla rinfusa nel tascapane e li porta sempre con sé, in trincea, in mezzo al fango, lungo l’Isonzo.
Ma che cosa significa quel titolo, Il Porto Sepolto? Erano stati i fratelli Thuile, Jean e Henri, a parlargliene per primi:
Mi parlavano d’un porto, d’un porto sommerso, che doveva precedere l’epoca tolemaica, provando che Alessandria era un porto già prima di Alessandro, che già prima di Alessandro era una città. Non se ne sa nulla. Quella mia città si consuma e s’annienta d’attimo in attimo. Come faremo a sapere delle sue origini se non persiste più nulla nemmeno di quanto è successo un attimo fa? Non se ne sa nulla, non ne rimane altro segno che quel porto custodito in fondo al mare, unico documento tramandatoci d’ogni era d’Alessandria. Il titolo del mio primo libro deriva da quel porto: Il Porto Sepolto.
FASE D’ORIENTE
Versa il 27 aprile 1916


Nel molle giro di un sorriso
ci sentiamo legare da un turbine
di germogli di desiderio

Ci vendemmia il sole

Chiudiamo gli occhi
per vedere nuotare in un lago
infinite promesse

Ci rinveniamo a marcare la terra
con questo corpo
che ora troppo ci pesa

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