martedì 3 gennaio 2012

Don Rusticucci e la folle idea di convertire quell'anticristo di Freud


Aveva piovuto per tutto il pomeriggio a Roma. Rattristato, contrariato da quell’inopportuno nubifragio, altro non m’era rimasto da fare che smozzicare bestemmie a mezza voce dietro i vetri della mia camera d’albergo.
Alle 19, finalmente, il fortunale cessò, indossai il giubbino, varcai la porta e scesi le scale di furia deciso ad a godermi la Roma by night che per troppe ore mi era stata negata.
Il Lungotevere, su cui avanzavo lentamente per godermi la folla e respirare la deliziosa aria romana pulita dalla pioggia, era costellato di grandiose pozzanghere. Per non portarvela alla lunga, vi dirò che a un tratto finii con la gamba destra in una di quelle pozzanghere, che in realtà era una fossa, profonda forse un metro, e stramazzando sul fianco ebbi la certezza di essermi azzoppato. Addio passeggiata, mi dissi.
Due vigili di passaggio fecero venire un’ambulanza che mi depositò al primo pronto soccorso, a Via della Consolazione.
Mentre ero sul letto, aspettando che mi facessero la radiografia, piombò in corsia un prete enorme, affannato e con la sigaretta in bocca. Si presentò, dicendo di chiamarsi don Rusticucci, e si sedette, schiacciante, in fondo al mio letto. Vide che avevo in mano Al di là del principio di piacere di Freud e sorrise compiaciuto.
Aveva una bella chiacchiera ‘sto don Rusticucci. Mi chiese dell’incidente, mi parlò di Roma, del papa, della sua vita. Io quasi non lo ascoltavo, mi limitavo ad annuire e a rispondere a monosillabi. Finché don Rusticucci non disse che era direttore del centro romano dell’IPPAC.
L’IPPAC? L’avevo già sentita questa sigla. Mi pareva di aver letto un articolo che definiva l’IPPAC “un tumore che prolifera in tutta Europa, anche se origine e ispirazione sono di oltre Atlantico.” IPPAC vuol dire Istituto per la Promozione della Psicoanalisi Cattolica. Fondata nel Messico da Gregorio Lemercier, in Italia ha preso piede abbastanza tardi; don Rusticucci, era chiaro, ci si era buttato con furore missionario. Si trattava, disse, di assicurare alla Chiesa l’ideologia del secolo. Calvino, Rousseau e Marx al confronto erano dilettanti. Le loro eresie innocua letteratura. Si trattava di convertire l’Anticristo, di battezzare Freud. Ma siamo a buon punto, chiosò Rusticucci.
“Chi ha la psicoanalisi ha il mondo” tuonò il prete, lanciando sguardi terribili sull’uditorio, ossia, oltre me, i tre o quattro poveretti che stavano allibiti nei loro lettini, nella sala comune, due di loro con le gambe appese alla carrucola.
Continuò a parlare e mi spiegò che l’impresa di convertire l’Anticristo psicoanalitico, cioè di infarcirlo di personalismo alla Gabriel Marcel e di evoluzionismo alla Teilhard de Chardin, era uno dei vanti dell’ala destra del fronte cattolico progressista. Gli epigoni di Padre Richard a Lovanio, di Padre Gemelli a Milano, avevano contribuito a questa brillante contaminatio, a cui non erano estranei i neo-tomisti della Sertillanges-Equipe di Parigi e i teologi della scuola di Assisi, erede delle iniziative laico-ecclesiastiche di don Giovanni Rossi. La Loyola University di Chicago, nella sontuosa rivista “Unconscious and Sacrament”, si occupava di divulgare l’impresa con patinata ricchezza di statistiche e diagrammi.
Il movimento ha come motore e finanziatore l’IPPAC, ma rappresentanti e zelatori ovunque nella gerarchia: “tanto più che”, fece notare il disinvolto Rusticucci, "il Papa è benedettino", come i benedettini psicoanalitici di Cuernavaca, i figli di Lemercier. Tutto a vele gonfie, e con i migliori auspici di ulteriori sviluppi, se si trascurava la rituale divisione fra freudiani e junghiani, riprodottasi puntualmente in seno ai convertiti. Ma Rusticucci ignorava queste piccolezze.
Il suo programma è oltranzista, si rifà all’esegesi biblica, al testo del Genesi:
“La psicoanalisi al servizio della Chiesa, da nemica divenuta ancella, ci risolve, capisci?, il più gran problema della fede. Quale problema? Eh? Quale? Domandatelo a sant’Agostino! Come poté Adamo concepire il male se era creatura perfetta, di un autore perfetto? Il Genesi tira fuori il Serpente, ma il problema si sposta, non si risolve. Il Diavolo, il Serpente, mica poteva essere stato creato diavolo da Dio. E se si era fatto diavolo da sé, chi (domanda precisamente Agostino) gli aveva messo in corpo la voglia di farsi diavolo? Sicché, unde malum?
Unde malum, vi domando. Donde viene nelle creature di Dio il male, il peccato? Pascal scrive che lo scoglio del peccato originale è nella trasmissione del castigo a tutta quanta l’umanità. Nei secoli.
Povero uomo. Non vedeva che il vero problema è questo, “come” il peccato fosse stato possibile.
Ebbene. All’EUR, l’anno scorso, al congresso nazionale dell’IPPAC, Vittorio Rusticucci (sì, io che vi parlo, amici belli) ha preso la parola per proporre la soluzione. E la soluzione è semplice: l’inconscio. L’in-con-scio! In me, in voi, in Adamo, in Eva, nel Diavolo che vi porti!”
L’incongrua allocuzione terminò in una risatona che ne tremarono i vetri della sala. Rise fragoroso l’erculeo Rusticucci, dovetti ridere io, risero contagiati senz’avere capito niente gli altri pazienti nei loro letti.
L’infermiera sopraggiunse con un vassoio e distribuì petto di pollo, carote e acqua naturale. Era una piacevole donnetta coi capelli rossi, il seno prosperoso, la faccia inequivocabilmente ciociara. Don Rusticucci l’agguantò per la vita, la sollevò che quasi le fece toccare il soffitto, si voltò verso di me e disse: “Mbè, giovanotto? Pensa che ci sono preti che rimpiangono le suore negli ospedali…”

Nessun commento:

Posta un commento