martedì 6 dicembre 2011

Leggendo il Protagora. Considerazioni introduttive


Il Protagora è un dialogo giovanile di Platone e la critica, che in un primo momento lo aveva apprezzato solo per la sua bellezza stilistica, ha concentrato l’attenzione anche al “messaggio filosofico” ivi contenuto.
Platone ha ormai compreso in che cosa consista la superiorità di Socrate sui Sofisti, e scrive tale dialogo appunto per comunicare questo suo messaggio.
Il Protagora agita e affronta tre grandi problemi: quello della natura o essenza della virtù dell’uomo (della “virtù politica" in particolare); quello connesso alla sua “insegnabilità”, vale a dire della sua possibilità di essere comunicata e appresa, e quindi il grande tema della educabilità dell’uomo; infine, quello del corretto metodo di indagine della verità.
Il Protagora è stato denominato, con frase icastica “il dialogo delle contraddizioni”.
Alla prima lettura, si rimane colpiti da tutta una serie di situazioni paradossali, da affermazioni che sembrano nettamente elidersi a vicenda: insomma, si ha l’impressione di essere coinvolti in contraddizioni incrociate, di natura differente e molteplice.
Del tutto paradossale è la situazione di fondo che viene a determinarsi fra i due protagonisti: Protagora si presenta, dapprima, come "maestro di virtù" e difende a spada tratta la tesi della “insegnabilità” di essa, ma, via via che il dialogo procede, nega sempre più decisamente che la virtù sia scienza; Socrate, dal canto suo, parte dalla negazione dell’esistenza di maestri di virtù e dalla contestazione della tesi della insegnabilità della virtù, ma, poi, procede ad una sistematica e massiccia dimostrazione intesa a provare che la virtù è scienza.
Le contraddizioni di fondo implicite in questa situazione sono almeno tre.
1) In primo luogo, Protagora, professandosi maestro di virtù e ritenendo la virtù insegnabile, dovrebbe, logicamente, ammettere che la virtù sia scienza, in quanto solo della scienza o di ciò che si fonda sulla scienza vi sono maestri ed è possibile insegnamento. Sostenendo, invece, la tesi contraria, ossia negando che la virtù sia scienza, Protagora, senza rendersene ben conto, viene a scalzare le fondamenta della possibilità della sua stessa professione e a contraddire se stesso in modo clamoroso.
2) In secondo luogo, Socrate, che, prima, nega l’esistenza di maestri di virtù e l’insegnabilità della virtù, e poi, invece, dimostra che la virtù è una scienza, parrebbe egli pure contraddirsi clamorosamente, per il motivo che, se è scienza, la virtù non può non essere insegnabile.
3) In terzo luogo, c’è la contraddizione che consiste nel puntuale incrociarsi e rovesciarsi delle posizioni dei due contendenti. Infatti, Protagora e Socrate, si scambiano le parti in maniera sorprendente: la posizione conclusiva di Protagora dovrebbe essere quella propria di Socrate, e, viceversa, la tesi conclusiva di Socrate dovrebbe essere assunta da Protagora come fondamento e cardine del suo pensiero e della sua stessa professione.
Questo gioco delle parti è il punto più sconcertante dell’opera e Platone stesso lo fa espressamente rilevare da Socrate a conclusione del dialogo, nel modo più efficace e pungente:
“Mi pare che la conclusione dei nostri discorsi, se potesse assumere sembianze umane, ci accuserebbe e riderebbe di noi. E se potesse acquistare la parola ci direbbe: Socrate e Protagora, siete davvero strambi! Tu Socrate, mentre prima sostenevi che la virtù non è insegnabile, ora ti sforzi di sostenere il contrario di quello che avevi detto, cercando di dimostrare che tutte quante le virtù… sono scienze, e questo è il modo migliore di far vedere che la virtù è insegnabile. Se, infatti, la virtù fosse altro dalla scienza, come Protagora cerca di sostenere, ovviamente non si potrebbe insegnare; mentre se risultasse in tutto e per tutto scienza, come tu ti dai da fare a dimostrare, Socrate, sarebbe ben strano che non si potesse insegnare. D’altra parte Protagora, che prima implicitamente ammetteva che la virtù fosse insegnabile, ora sembra invece si dia un gran da fare a sostenere il contrario, vale a dire che la virtù sia tutto tranne che scienza: e, in tal caso, non potrebbe affatto essere insegnabile”.

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