giovedì 1 dicembre 2011

Diario di un killer sentimentale


Il volto umano non mente mai: è l'unica cartina che segna tutti i territori in cui abbiamo vissuto.
Era da parecchio tempo che volevo leggere qualcosa di Sepùlveda e proprio il Diario di un killer sentimentale lo tenevo puntato da molto. A quale lettore non verrebbe voglia di leggere un libro con un titolo così? Solo che quegli str… quei furbacchioni della Guanda lo avevano piazzato a dieci euro. Dai, su. Un racconto, per quanto bello, non può costare dieci euro – soprattutto quando è breve come questo. Io non sono ricco, non compro un libro al mese e non sono stronzo. Ancora una volta la bancarella m’è venuta in soccorso.
A dire il vero, il mio incontro con Luis sarebbe potuto avvenire molto prima se non mi fossi rifiutato per principio di leggere Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare. Puah! Solo il titolo mi fa venire il diabete. (magari poi ci ripenso, chissà? noi ingestibili, siamo lunatici)
Veniamo a noi.
Entriamo nella vita e nella testa di un killer, un tipo che ammazza la gente su commissione per cifre con sei zeri sulla destra, esentasse. Un professionista.
Il nostro killer ha infranto il comandamento misogino legato alla sua professione perché si è innamorato di una giovane ragazza francese con cui ha preso casa, una casa che comincia a puzzare di vita borghese.
Il killer riceve l’incarico di ammazzare una persona, un tipo che lavora per una società non governativa; un filantropo. E il Nostro li odia, i filantropi.
Diario di un killer sentimentale vuol dire seguire due micro storie.
La prima, riguarda il protagonista e il lavoro che deve portare a termine, con tutti gli spostamenti, le telefonate, i plichi che gli manda il capo, la “voce”. Soprattutto la parte di Istanbul è movimentata e piena di suspense.
La seconda micro storia è incentrata sulla vicenda del killer e della sua ragazza, quando l’ha conosciuta, come lei è cambiata, la vita insieme con gli alti e bassi di ogni relazione.
Queste due microstorie si intrecceranno nel finale lì dove Sepùlveda si rivela un vero maestro del racconto.
In un’ultima pagina lo scrittore cileno si rivela geniale per come tira le fila della storia, ma soprattutto perché sa essere “logico”. La storia è quella di un killer e il finale è degno di questa figura.
Bravo Sepulveda a non scadere in uno stupido happy end e per il coraggio di andare con la scrittura fino in fondo.

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