domenica 24 luglio 2011

Il G8 di Genova è una ferita ancora aperta

Il G8 di Genova comincia qualche mese prima dell’effettivo svolgimento che avviene tra il 19 e il 22 luglio 2001.
Comincia quando i media iniziano a pompare qualsiasi minchiata arrivi loro in redazione facendo così salire la tensione sia tra i manifestanti che tra le forze dell’ordine. Quella che è stata chiamata la "costruzione della paura".
I giornali, durante i mesi che precedono il vertice, pubblicano le notizie più assurde non applicando il benché minimo filtro. L’esempio classico è quello che i manifestanti avrebbero gettato sui poliziotti dei palloncini pieni di sangue infetto con il virus dell’Aids. E qui già c’è malafede, nessun senso critico perché il virus dell’Aids non sopravvive a lungo fuori dal corpo umano, il sangue tende a coagulare, e soprattutto la logistica di una simile raccolta sarebbe complicata, pericolosa, folle. Ma di “notizie” sparate dai giornali ce ne sono altre: arance farcite di lamette, copertoni incendiati da far rotolare verso i plotoni di polizia, piani per rapire agenti rimasti isolati, catapulte colme di sanpietrini, feroci cani pitbull, assalti alla zona rossa con deltaplani, aerei telecomandati, kayak… chi fa arrivare queste veline ai giornali? Chi ha interesse a pubblicarle e a creare quel clima di tensione che effettivamente si creò? Perché i servizi di sicurezza, almeno una parte, hanno scientemente contribuito a far crescere la tensione nell’opinione pubblica e specialmente tra gli uomini che avrebbero gestito l’ordine pubblico in piazza? Io non andai a Genova proprio per questo, perché vidi che non si stava preparando una manifestazione, ma una guerra.
Per quanto riguarda la carica di via Tolemaide e la morte di Carlo Giuliani, bisogna partire da due informative del Sisde che informavano la Digos di Genova che 300-500 militanti (black bloc) si sarebbero concentrati alle ore 12 in piazza Paolo Da Novi. Tutto giusto tranne l’orario: i black bloc si fecero vedere già alle dieci in piazza e mentre agiscono indisturbati attaccando banche, finanziarie e il carcere di Marassi, tutta l’attenzione politico-mediatica-poliziesca è concentrata sulle Tute bianche di Luca Casarini, intenzionate a praticare la disubbidienza civile contro il divieto alla zona rossa, ma non a commettere violenze. Il casino scoppia quando un contingente dei carabinieri del Battaglione Lombardia, diretto a Marassi per contrastare i black bloc, non obbedisce agli ordini e, giunto in via Tolemaide, attacca a freddo il corteo composto da circa 15 mila persone, in un punto privo di vie di fuga. È in quel momento preciso, alle 14,53, che il G8 di Genova prende una piega drammatica. La carica scatena una guerriglia urbana che culmina, alle 17,27, con la morte di Carlo nella vicina piazza Alimonda. Perché il capitano Antonio Bruno ordina la carica senza neppure consultarsi con il dirigente di polizia Mario Mondelli, nonostante la legge prescriva che nelle decisioni di ordine pubblico siano sempre i funzionari della questura a prendere le decisioni? L’attacco al corteo dei Disobbedienti è stato soltanto il frutto di una serie di errori degli uomini in divisa o qualcuno ha creato di proposito un incidente destinato a far precipitare la situazione dell’ordine pubblico? E, nel caso, perché?
Il G8 verrà ricordato anche per le violenze e le infamie commesse dalle forze dell’ordine nella caserma di Bolzaneto, una sorta di carcere provvisorio istituito per tenere i fermati lontani dai penitenziari cittadini. E bisogna anche ricordare che il 21 luglio verrà esautorato il vicecapo della polizia Ansoino Andreassi e il suo posto sarà preso dal prefetto Arnaldo La Barbera. Cambieranno le strategie, gli uomini di De Gennaro prenderanno in mano la situazione dell’ordine pubblico e sarà una svolta tragica che porterà alla sanguinosa irruzione alla scuola Diaz. Chi decide di metter fuori gioco Andreassi? Le scelte di ordine pubblico sono fatte dai “tecnici”, come De Gennaro, o dai politici? E, in questo caso, da chi? Dal presidente del consiglio Silvio Berlusconi? Dal ministro dell’Interno Claudio Scajola? O dal vicepresidente del consiglio Gianfranco Fini, capo del partito che più di tutti aveva sposato il pugno duro contro i manifestanti e la solidarietà preventiva a polizia e carabinieri?
Il blitz alla Diaz è un orrore, uno schifo e una vergogna incancellabile per i poliziotti che lo commisero. La scuola è un dormitorio che ospita decine di manifestanti. L’operazione si conclude con un massacro: dei 93 arrestati, una sessantina risultano feriti, venti dei quali necessitano di cure in ospedale. Sono i più fortunati perché gli altri vengono trasferiti a Bolzaneto, dove subiscono nuove violenze e umiliazioni.
Che cosa è successo esattamente alla Diaz? Dal processo emerge chiaramente che la perquisizione alla scuola viene disposta per l’esigenza di fare arresti e riscattare la brutta figura delle forze dell’ordine, specialmente con il mancato contrasto dei black bloc. Nel percorso tra la questura e la Diaz, il contingente di poliziotti cresce a dismisura, con agenti e funzionari che si aggregano di loro spontanea volontà, senza un ordine di servizio, tanto che ancora oggi non si sa quanti poliziotti arrivarono effettivamente alla scuola: le stime variano da 292 a 495. Un esercito.
È nota la storia del depistaggio delle forze dell’ordine, che sarà smascherato dall’inchiesta penale. Le due bottiglie molotov attribuite ai manifestanti sono state portate dentro dagli agenti. L’aggressione denunciata da un agente non regge alla prova dei fatti. I verbali di arresto sono generici e pieni di circostanze false. Durante il processo, la reticenza degli alti dirigenti sui fatti della Diaz è totale. Nessuno comandava l’operazione, nessuno ha notato violenze, nessuno ha rilevato stranezze, nessuno ha fornito il minimo elemento per individuare i responsabili della “macelleria messicana” descritta anche dal comandante del VII nucleo, Michelangelo Fournier. La sua è l’unica testimonianza di un funzionario di polizia dall’interno dell’edificio scolastico. Parla di “colluttazioni unilaterali”, dove i manifestanti si limitano a subire botte e manganellate.
Perché i protagonisti di quella sciagurata operazione sono stati sempre protetti e hanno proseguito le loro brillantissime carriere?
Ecco perché il titolo del post è Il G8 di Genova è una ferita ancora aperta, perché DOPO DIECI ANNI GIUSTIZIA NON E' STATA FATTA.

2 commenti:

  1. L'ultima scritta in neretto l'ho vista proprio OGGI su un muro vicino casa mia (insieme alle due date)e mi ha fatto molto piacere.
    Purtroppo quando si tratta del braccio dello Stato, raramente la giustizia viene applicata ed è molto facile intuire il perchè visto che vogliono tenerci tutti quanti calmini e ubbidienti per poter fare i loro porci comodi...
    Dopo il fattaccio di Giuliani, i colleghi di Placanica gli dissero: "Benvenuto tra gli assassini" e non mi meraviglia affatto.
    Poi io, ho sempre avuto un'avversione particolare contro le forze dell'ordine, in alcune occasiosi ho visto con i miei occhi come agiscono ed è davvero frustrante non poter fare nulla per via di quella divisa.
    Anzi si, una cosa ci sarebbe:

    STERMINARLI COME BESTIE MALATE!

    PS
    Ho conosciuto diversi poliziotti, anche amici o mariti delle amiche e mi dispiace dire che hanno tutti le stesse merdose attitudini.

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